Arriva il giorno di Natale in un non-luogo pinteriano (un ospedale psichiatrico? Un campo di concentramento militare? Un teatro?), ed avvengono due fatti incresciosi: una morte ed una nascita sospetta.
Il buon nome dell’istituto impone di indagare e scoprire chi siano i colpevoli, in un alternarsi di dialoghi colmi di ironia e di humor, propri del teatro dell’assurdo Pinteriano, che nell’apparente mancanza di senso, molto trasmettono sui personaggi, e, in senso generale, sui ruoli sociali che incarnano.
SCHEDA
La serra di Harold Pinter
Tipologia: prosa – sociale- humor nero – teatro dell’assurdo
Durata: circa 1 ora e 20 minuti
Cast:
I partecipanti nel corso delle messe in scene sono stati:
Andrea Atzeni (Lobb)
Stefania Bo (Roote)
Katia Bonifaci (Gibbs)
Tania Boscolo (Gibbs)
Francesca Chiarandini (Lush)
Alessandra Deffacis (Lush)
Gianna de Masi (Lush)
Anna Fantozzi (Roote)
Lia Morra (ospite)
Michele Noce (ospite)
Patrizia Oliverio (ospite, incursioni cantate)
Lara Palmieri (Gibbs)
Paola Parini (Lamb – Lobb – Mike)
Marzia Raballo (ospite)
Laura Righi (Roote)
Marta Rizzi (Roote)
Marina Vettorato (Miss Cutts)
Regia di Andrea Atzeni.
Note di Regia:
Data la profonda ironia del bellissimo testo, ricco di dialoghi surreali e pieni di stimoli e riflessioni, la scelta è stata di enfattizzarne il grottesco, rendendo evidente l’assurdità dei meccanismi di relazione, fondati sul sospetto e sulla mancanza di fiducia, e cristallizzati da gerarchie inette. Per me, tornare a quest’opera è sempre un rinnovato stimolo alla critica sociale.
Nell’impossibilità di prestare fede alle parole ed alle azioni dei personaggi (ad esempio, a dispetto delle parole, scoprire la verità sul colpevole è davvero lo scopo principale?), lo “spettatore”, tra i molti sorrisi, spesso amari, ha molte possibilità di riflessione personale: La differenza tra l’immagine e la sostanza dei personaggi “importanti”; la tendenza delle strutture di potere a perpetrarsi ottusamente ed a stabilizzare realtà anche insostenibili; l’idiota possibilità, personale anche se non sempre conscia, di privarsi della liberta a conseguenza della consuetudine imperante; la riconoscibilità di dialoghi che, fuori da un contesto teatrale che ne possa enfatizzare l’assurdità, sono invece esperienza comune e giornaliera, terribilmente accettata dalle persone che ci circondano e, senza una perseveranza degna di lode, anche da noi in prima persona. Respingere la passiva accettazione delle ingiustizie è, per me, regista della messa in scena, onestamente un lavoro giornaliero, in cui, grazie all’allenamento (ed alla distanza dai mezzi di comunicazione di massa) a volte riesco (e a volte, meno di un tempo, fallisco).
Grazie ai saltuari successi, penso di poter offrire la possibilità allo “spettatore” di chiedere se quanto rppresentato non sia parte della realtà in cui vive (in cui, forse, siamo immersi non accorgendoci di quanto sia divenuta grottesca, perché vestita di parole note).
Per arrivare a questo, il percorso di lavoro è stato un lungo raffinamento, training e riflessione personale di attori (molti hanno partecipato nelle diverse messe in scena) e regista. Abbiamo assaporato, sentito, riflettuto su questa sorta di stordimento fatto di parole logorate dall’uso. Io, credo, possiamo ora presentarci al pubblico credendo tanto nell’opera quanto nel rispetto del nostro ruolo di portatori di un messaggio in cui crediamo, ed anche nel ruolo potenziale, sociale e rivoluzionario di apertura delle coscienze che può essere il teatro.
La messa in scena consta solo di bravissime attrici femminili. Questa scelta ha una serie di ripercussioni importanti.
- In un momento storico in cui la discriminazione verso le donne è forte, questo è un piccolo sasso nel mare che spera di generale onde morbide di riflessione, e soprattutto di critica al sistema.
- Per un mondo storicamente a forte appannaggio maschile (in molti tempi, la vita del teatro e delle sue rappresentioni è stata preclusa al genere femminile, es. https://centauraumanista.wordpress.com/2015/06/03/le-donne-e-il-teatro/) si tratta di dimostrare come questa convenzione sia non solo superata, ma inutile ai fini del valore artistico dell’opera (su questa via, anche altri si stanno incamminando, es. http://www.iniziativalaica.it/?p=32244).
- Sulla resa artistica, in questo caso specifico, non solo la presenza unicamente femminile è sufficiente, ma è estremamente efficace nel rendere ancora più grotteschi i dialoghi, che Pinter impregna di biechezza maschile, rendendo ancora più chiara la denuncia ad un sistema che tolleri tutto questo.
Mia speranza, mia necessità, è credere che questo lavoro e questa intensità che abbiamo messo in campo, servano a portare un po’ di consapevolezza, e di conseguenza una spinta ad un mondo fatto di senso e di bellezza.
Nota storica:
Come regista, mi piace ricordare i primi tempi, che spesso sono i più faticosi ed i più entusiasmanti.
Il lavoro nasce come idea in una riunione dei “Piccoli Fuochi”, associazione di ex-allievi della scuola di teatro di Teatranza, in cui molti proponevano progetti attoriali o registici (o anche difficilmente categorizzabili 🙂 ) per l’anno a venire (correva il 2010). Quando arrivò il mio turno dissi: mi piacerebbe rifare una regia di Pinter (quanta sofferenza possono causare poche ed ingenue parole 🙂 ).
E’ così, tra avventure roccambolesche, incroci del destino con attori, cantanti e danzatori di varie provenienze e personalità, dinamiche sociali notevoli, liti, cambiamenti di cast, impossibilità a partecipare o a non partecipare al lavoro ( 🙂 ) , per i primi cinque mesi di prove fummo ospitati nei locali di Teatranza a Moncalieri, mettendo in piedi una serra nella Serra, fatta di noi stessi.
E Teatranza è un luogo che vorrei ringraziare, perché non solo ha visto la mia nascita come attore e come regista, ma è stato luogo che ha accompagnato la crescita di molti aspetti della mia persona. Se non sapessi che il caso ha spesso una parte fondamentale nei percorsi di un essere umano, consiglierei a chiunque di andare a Teatranza (o ad una qualsiasi buona scuola di teatro) per darsi una possibilita’ di conoscenza e risoluzione interiore.
Grazie a questa evoluzione, il lavoro su “La Serra” continua, ed in questo caso è falso che i primi tempi siano i piu’ faticosi. Continuano ad esserlo, eccome! Sia per le difficoltà a far incontrare percorsi di vita cosi eterogenei, sia a farsi portatori di un messaggio si presentato in maniera surreale e ironica, ma anche dalle notevoli implicazioni sociali. La serra, in me, non ha mai smesso di lavorare, ed per questo che i tempi di lavoro, oltre a continuare ad essere i più faticosi, continuano ad essere anche i più entusiasmanti :-).