La mia settimana – il diario di Juri

LA MIA SETTIMANA – IL DIARIO DI JURI

Edizione 2012

IL VIAGGIO:  al di la del parabrezza

Io osservo, farò parte del panorama, ma senza esserne parte. È una posizione privilegiata, ma anche scomoda. Sa un po’ di grillo parlante, uno che poi fa una brutta fine…

Paola e Francesca le lascio all’autogrill di Villanova d’Asti. Continueranno in autostop. Foto ricordo, abbracci tipo partenza per la guerra. Paola la vedo completamente a suo agio, sciolta, non ho dubbi che con quell’energia che si porta dentro arriverà alla meta senza problemi. Anche Francesca è fiduciosa, ma non ha mai fatto niente del genere e si vede. C’è un ombra di giustificabile paura che lega i suoi gesti. Non lo so se riuscirà a ispirare fiducia. È la prima volta che la incontro, mi astengo dal giudizio e le saluto, osservandole dallo specchietto mentre rientro in autostrada.

Mentre Paola e Francesca viaggiano in autostop, io spingo la mia Hyundai a 100 all’ora lungo la pianura padana. Libero. Libero di fermarmi, di cambiare strada, di scoprire un bar cinese in un paesino della provincia reggiana e contemplare torri di vetro che rompono la linea dell’orizzonte e l’infinita teoria di capannoni industriali.

Eppure è tutto scivolato al di la del parabrezza, come un improvviso temporale. In auto non ci si bagna.

Paola l’ho ritrovata sulla spiaggia di Porto Recanati. Ho ascoltato i racconti degli incontri fatti e letto nel suo sorriso la gioia che hanno generato.  Ho pensato che io ero più riposato, ma forse meno sorridente. Più libero, ma forse meno ricco.

Un bagno in un mare caldo e inaspettatamente trasparente, una bella doccia e poi si cerca un campeggio. Il più distante, il più scomodo… il meno caro. Paola, oltre hai passaggi, ha rimediato anche dei primi contributi per la settimana e la prima sera ci si può regalare un campeggio e un piatto di spaghetti. A parte le preoccupanti disavventure di Francesca, con cui ci teniamo in contatto via telefono, sembriamo dei normali turisti. Montiamo le tende nel posto più scomodo, ma anche più bello: davanti al mare, a un metro dalla spiaggia. Il cielo ci regala una manciata di stelle augurandoci la buona notte.

IL PRIMO GIORNO: gli arrivi

I giorni accolti dal loro nascere hanno sempre un gusto particolare. Se hai la fortuna di assistere il mare partorire un sole sorridente dal suo ventre umido, sai che quel sole ti sarà compagno per tutta la sua parabola. È strano un sole così: lo vedi nascere e ti ci senti figlio. Ti abbraccia e sembra poter contenere un’infinita quantità di storie.

Arriva Andrea, che ci prende alle spalle mentre stiamo entrando in stazione. Sormontato da zaini enormi, percorre la lunga strada fino al campeggio con la noncuranza di un cammello. Posiamo gli zaini e torniamo alla stazione, perché è il turno di Aurora. Vogliono tornare a piedi, provo a convincerli ad accettare un passaggio. Ci andrei comunque in paese (ed è vero!), non ce li porto apposta. Rapido consulto, niente da fare, “o paghiamo la una quota benzina (e si soldi vanno guadagnati in strada!) oppure si cammina”. Mi adeguo, altra camminata. Benvenuta Aurora. Manca solo Francesca, ma di lei nessuna notizia. Pare stia tornando a casa, che abbia mollato. Ci dispiace, ma rispettiamo la scelta. Dopo una notte in giro probabilmente avremmo fatto la stessa cosa.

Il budget è all’osso e i primi spettacoli saranno dopocena. 10 euro in quattro per pranzo e cena. Si elimina il superfluo, si contano le calorie. È l’etichetta del prezzo che decide per noi. Come per il viaggio, la mancanza di soldi ti obbliga a sperimentarti, ma crea anche tanti vincoli. Ogni spostamento a piedi richiede tempo ed energia. Non sei libero di scegliere. La prima cosa che vediamo è come la libertà, nel nostro mondo, sia esattamente come il pecorino del supermercato: se non hai i soldi non te la puoi permettere e ti devi accontentare della ricotta in offerta speciale. Io mi adeguo, verso una quota uguale e condivido la spesa. Questo si che si chiama osservazione partecipata, il mio docente di sociologia ne sarebbe entusiasta.

Alla fine arriva anche Francesca, con grande sorpresa e grande felicità, e la sera vanno in scena. Mi sembra tutto improvvisato, forse troppo. Tra gli arrivi e gli spostamenti non c’è stato tempo di coordinarsi su nulla. Alla fine si trova un numero che funziona e il cappello si riempie abbastanza da potersi permettere una seconda notte in campeggio. Ma niente colazione, per quella dovranno accontentarsi degli avanzi della spesa del giorno. Che non è che fosse una gran spesa. Prima di andare a dormire, penso a come si sveglieranno, alla stanchezza, alla prima reale sensazione di fame, al calo di energie, al sole del giorno e al peso degli zaini che da domani, con l’uscita dal campeggio, dovranno portarsi dietro tutto il giorno. Mi chiedo se ce la faranno o molleranno. Non scommetterei su nessuna delle due ipotesi.

IL SECONDO GIORNO: … infinito…

al pomeriggio mi sono allontanato. Volevo prendere un attimo di distanza, ricordarmi il mio ruolo di osservatore, rifiatare. Mi ritrovo a Recanati, su una panchina al colle dell’infinito. Ci resto per ore, prima leggendo, poi sonnecchiando. Come un barbone, potrei dire. Il tempo che scorre lento, sento la stanchezza. Anche se la mia posizione nel gruppo è diversa, alla fine mica me la sento di fare una vita così di diversa da loro. Sì, mi muovo in macchina, e questa mattina me ne sono andato al bar a fare colazione, ma alla fine ieri mi sono nutrito di pane e formaggio e oggi non me la sono sentita di andare oltre un po’ di focaccia bianca. Il tempo sembra prendersi gioco di me e le ore, invece che scorrere con il solito ritmo, si trascinano stanche e indolenti.  Ripenso a quando li ho salutati prima di partire per Recanati. Abbiamo passato la mattinata sulla spiaggia, dopo aver smontato le tende e saldato il conto del campeggio con gli ultimi soldi. Sono avanzati pochi euro con cui Paola e Andrea hanno comprato pane e pomodori, che devono bastare fino a sera. Verso le tre del pomeriggio hanno deciso di avviarsi verso il paese e provare a esibirsi in un parco nei pressi della spiaggia. Li ho convinti a caricare zaini e tende sulla mia macchina, poi loro si sono avviati a piedi e io li ho aspettati al parco. Li ho visti arrivare. Camminavano lenti. Li aspettavo appoggiato al cofano dell’auto. Nessuno mi ha visto, anche se erano a pochi metri da me. La stanchezza inizia a farsi sentire, ma è molto diverso il modo di affrontarla. Paola è un trattore, pare che nulla possa fermarla. Andrea è leggero, quasi zen. Francesca mi sembra stia combattendo una battaglia tutta sua: si è imposta di farcela e lo ce la sta facendo. Aurora… se a questo punto dovessi scommettere su qualcuno che mollerà prima della fine, scommetterei su lei. Comunque, al parco si fa il punto della situazione. Iniziano a chiedersi: come ci vedono gli altri?

E mi viene in mente la mia esperienza di lavoro con le persone senza dimora. Concetti come l’autorappresentazione, l’immagine riflessa nello sguardo dell’altro. Penso che questo progetto nasce come sensibilizzazione verso l’esterno, ma principalmente è un’esperienza personale: cosa succede a non poter mangiare? A non sapere dove andare a dormire?  Doversi spostare con il peso delle proprie cose? Cos’è il tempo? Cosa succede al proprio modo di costruire il pensiero? Alle relazioni? Penso che come attori (e come esseri umani) quello che stanno vivendo non possa che arricchirli.

IL TERZO GIORNO: … le cose importanti della vita…

vivere su una spiaggia regala incontri inattesi e particolari. Al mattino tre delfini ci regalano un gioioso balletto nel tratto di mare davanti alle nostre tende, e poche ore dopo facciamo la conoscenza di un vecchio signore. Ci chiede chi siamo, si vede che rispetto al turismo popolare e convenzionale di quel tratto di costa sembriamo animali di un altro ecosistema. Si diverte a sentire la nostra storia, ancor di più a rendersi conto di quello che stiamo vivendo.

“Tre cose contano nella vita: mangiare, dormire e fare l’amore”, sentenzia. Noi dormiamo poco, mangiamo meno e quanto al resto, vabbè, non sono andato ad origliare alle altre tende, ma insomma, io dormo solo…

Mangiare, dormire e fare l’amore. Energia, sicurezza, apprezzamento da parte degli altri (lasciamo perdere il sesso, ma infondo cosa cerca un attore in scena? L’essere apprezzato e, in questo senso, essere amato dal suo pubblico. In teatro, come in strada). Tre cose che diamo per scontate e che tutto ad un tratto ci appaiono in tutta la loro importanza. Non so quanto le parole del vecchio della spiaggia abbiano pesato, ma la sera in strada, durante le esibizioni, inizio a vedere qualcosa di diverso. È come se tutto ad un tratto quelle due ore sul lungomare siano state riconosciute come un obiettivo importante di per se, non solo il modo per raccogliere gli spiccioli per fare la spesa. C’è più cura. Non cambia il risultato (sembra una cosa matematica, ogni sera si raccoglie sempre, più o meno, la stessa cifra), ma il modo con cui ci si arriva. Paola e Andrea iniziano ad ingranare con il numero della marionetta,  Aurora con il trucco per i bambini, Francesca cerca il suo spazio, a fatica, ma con più coscienza di prima che quello che stanno mettendo in scena è uno spettacolo e non una disperata ricerca di soldi per il pane. Per quanto il pane sia importante, come il vecchio ci ha saggiamente ricordato.

Al momento di andare a dormire ci si regala una pizza appena sfornata e si tirano le somme dei primi tre giorni. Porto Recanati ci ha donato quel che poteva donare, da domani si cambia paese.

QUARTO E QUINTO GIORNO… dove sta il senso?

Lo sguardo cerca di abbracciare l’intera baia di Portonovo del Conero. La spiaggia è una sottile bocca, labbra d’avorio, un timido sorriso voltato ad oriente. Il verde delle colline riempie i polmoni. Cammino lungo sentieri ombrosi, senza fretta. Mi godo la solitudine. Mi piace arrivare al punto di non ricordarmi il suono della mia voce. È solo nel silenzio interiore che riesci davvero ad ascoltare il mondo.

Ho salutato gli altri a Porto Recanati e ho preso la mia strada, per un paio di giorni. Ne ho approfittato per mettere a posto gli appunti, leggere leggere leggere e fare quelle cose che si fanno in vacanza: nuotare, dormire, conoscere posti e persone.

Oggi, passato un giorno, li ho sentiti per telefono. Si sono spostati a Sirolo, pochi chilometri da dove sono io, e pare che la serata di ieri sia andata bene. Mi sono chiesto se passare a trovarli. Da un lato mi manca la loro compagnia, dall’altro sento una nota stonata. Qualcosa che mi impone di tenere ancora un attimo la distanza. Almeno finché non avrò capito di cosa si tratta. È difficile fare l’osservatore. Scomodo. L’ho scritto all’inizio, il rischio è quello di diventare un grillo parlante e far venire agli altri la voglia di schiacciarti con un martello.

Dopo cena non resisto più e salgo in macchina e in 10 minuti sono a Sirolo. Perché? Perché il silenzio interiore sarà anche bello… ma dopo due giorni, fidatevi… due palle…

Li trovo in piazza. Questa sera non gira bene. Dove si erano piazzati la sera prima c’è un palco montato e così finiscono in un angolo buio della piazza, quasi invisibili. Ma non è solo questo. Leggo la fatica sui loro volti. Anche Paola, per la prima volta, sembra crollare. Dubbi. Ha senso quel che stiamo facendo? Mi sembra che ognuno di loro se lo stia chiedendo. Mi racconta che anche un ragazzo, che li stava osservando prima che iniziassero a esibirsi, glielo ha chiesto. Non deve essere stato un bel momento.

La serata va in porto, comunque. Il pezzo che hanno preparato Paola e Andrea è bello, e questa è la cosa che penso che alla fine li tiri su. Perché poi il senso sta nell’esperienza che ognuno di loro ha vissuto. Il senso sta nella determinazione di Paola, nella quiete di Andrea, nella pazienza di Aurora, nel coraggio di Francesca. Penso alle persone che ho conosciuto lavorando in dormitorio, alla disperata necessità che avevano di trovare un senso all’incubo che stavano vivendo: ritrovarsi ad un tratto privati di tutto quelle cose, così scontate, che la gente “normale” neanche si accorge di avere. Ho conosciuto uomini che hanno cercato un senso e non lo hanno trovato, finendo per morire schiacciati dalla propria storia. Quelli che ce l’hanno fatta, quelli che ne sono usciti, lo hanno fatto aggrappandosi a sé stessi, scoprendo in sé quelle risorse che gli hanno consentito di sopravvivere, in barba all’indifferenza del mondo: la determinazione, la quiete, la pazienza e il coraggio.

Li saluto mentre si apprestano a tornare in spiaggia per l’ultima notte e torno in campeggio. Mentre guido la musica è a tutto volume. Canto. Ho voglia di sentire la mia voce.

SESTO GIORNO… ritorno a casa…

del viaggio non c’è molto da raccontare. Paola e Andrea tornano in autostop e Aurora e Francesca in macchina con me. Fa caldo, c’è traffico e lunghe code, ma non è un problema. Per me e Aurora va bene così, la settimana strampalata è finita e ci regaliamo bibite e panini all’autogrill. Francesca continua, fino a Torino.

In macchina si canta, addirittura si balla. Ho modo di conoscere meglio anche Aurora, e sono contento che ciò accada. Avevo dubitato della sua resistenza. Avevo pensato mollasse. Scusa, Aurora.

Torino ci accoglie con uno scroscio di pioggia che è quasi un sollievo, dopo il caldo insopportabile delle code in autostrada.

Poi casa. Poi fuori a cena con gli amici.

“allora? Come è andata?”
dunque, da dove cominciamo… Io ho osservato, ho fatto parte del panorama, ma senza esserne parte….

fine.