Sant’Antonio
L’atrio di Porta Nuova ci accoglie deserto, se si escludono due tranquille guardie di sicurezza che percorrono le navate, e due persone che leggono biglietti e disegni appesi ad un luminoso alberone natalizio.
Non sappiamo bene cosa aspettarci, manca un’oretta alla mezzanotte di Natale, solo un paio di treni in partenza nelle prossime due ore, tre o quattro in arrivo.
Decidiamo per un giro della stazione. E’ quasi deserta, solo qualche straniero, anche con alcuni bambini, che sembrano di passaggio. I negozi, ormai presenti su più livelli, sono chiusi e chiusa è anche la sala riservata “FrecciaClub”. Solo il bagno (per fortuna 🙂 ) è ancora aperto. Non c’è nessuno, a dispetto delle nostre credenze, pronto a passar la notte qui.
Ci chiediamo come procedere… molto spesso una cosa che aiuta è rallentare e riflettere, ma visto che siamo qui per raccontare, leggiamo nel mentre una storia (un’altra opera inedita, il professor Lungimirantis!).
A parte il custode del bagno che di tanto in tanto si sgranchisce un poco le gambe, con alcuni sentieri ad anello intorno all’ingresso servizi, e le guardie di ronda che ogni tanto fanno capolino (senza mostrarsi interessate alla storia narrata), e qualche rarissimo e frettoloso passeggero in arrivo e partenza, non ci sono occasioni di incrociar anima viva.
La stazione non è il posto giusto! Ne percorriamo a ritroso i corridoi, e siamo nella nebbia concentrata e umida su Piazza Carlo Felice.
Ci bastano poche decine di metri sotto i portici ed incontriamo un uomo che si sta preparando il giaciglio, di fronte ad un negozio dismesso dalla “crisi”.
Vedendo il nostro thermos di tè, lui stesso chiede se può averne un po’.
Così, a mezzanotte quasi precisa, inizia il Natale.
Come al solito parliamo ed ascoltiamo vicino a un giaciglio, che appare comodo e accogliente, almeno per essere un letto di fortuna. Ai due lati sono tenuti in ordine un panettone, alcune scatolette di cibo per cani, alcuni bicchieri ordinati dal più largo al più stretto, ed appoggiato all’angolo tra colonnato e coperte un giornale ben piegato. Un borbottio da sotto coperta presenta il destinatario delle scatolette, un assonnato cagnolino di dieci mesi, che dopo aver preso qualche coccola torna a dormire al caldo, tra le gambe del padrone.
Poche persone di passaggio ci guardano incuriosite, mentre noi, un poco in disparte, ascoltiamo dall’uomo una sintesi unica e famigliare di esistenza.
Quando incrociamo i passanti negli occhi, proviamo a ricambiare con un sorriso, in generale apprezzato.
Mentre ascoltiamo, un ragazzo ed una ragazza si avvicinano e lasciano un panettone ai piedi del letto, e dei soldi. Saranno nostri compagni per un po’. Anche per loro primo Natale passato in giro a lasciare qualcosa, nei dintorni di Via Roma. La ragazza ha un bel sorriso, che la rende anche più giovane. Il ragazzo preferisce stare un poco più in disparte, ma nel suo silenzio ci sono quiete e tranquilla accoglienza.
Siamo tutti e cinque attorno al fuocherello delle nostre parole e curiosità, senza l’impalpabile ed insensata fretta di ottenere qualcosa.
A tratti, in un sorriso o in un gesto, mi sembra persino che, tutti quanti, qualcosa l’abbiamo capito, e la capacità di ascoltarci ne sia il risultato.
Uno straniero di passaggio sorridendo chiede una tazza di tè, viene accontentato ed aggiunge due bustine di zucchero di canna. Saluta sorridente e scambiando il Buon Natale.
Paola racconta una storia, quella dei nocciolini di ciliegio, un classico (che sembra migliori ogni giorno), e guadagna applausi e sorrisi. I pochi passanti si guardano indietro visibilmente incuriositi da quella lettura ad alta voce… strana, ma evidentemente inoffensiva.
Dopo altre condivisioni, ci lasciamo stringendoci la mano ed augurandoci il buon Natale. L’uomo torna a preparare il letto dicendoci che gli abbiamo regalato un sorriso, e questo non è tanto poco nella sua situazione, e consigliandoci di non svegliare gli altri che dovessimo incontrare addormentati (siamo d’accordo, credo sarebbe fastidioso).
I due ragazzi probabilmente tornerannò l’indomani. Forse la dignità e l’orgoglio mostrato dall’uomo li ha convinti a portare e far dono di qualche vestito usato e pulito.
Noi facciamo ancora un giro per via Roma, ma un sonno tranquillo ha avvolto chiunque non sembri avere una meta precisa
“Ma come si chiama?” il dubbio ci viene all’improvviso, così torniamo dall’uomo. “Piacere, Antonio”, e ricordiamo che lo aveva detto, “come Sant’Antonio”, l’eremita che lasciò i suoi averi e visse in povertà, dopo aver perso la madre ed il padre.
E ci allontaniamo con altri “ciao” e “buon Natale” ed alcuni sorrisi felici e contenuti.