COMMENTI E RIFLESSIONI FINALI … IN CONTINUO AGGIORNAMENTO
Leggo l’entusiasmo di Paola e Andrea, la voglia di non tornare a casa di Francesca. Leggo di una settimana che ha dato molto a molti e quindi mi sento un po’ a disagio a scrivere queste righe. Premetto: i complimenti sono indispensabili, fanno bene, danno energia. Ognuno di noi, e con noi intendo quelli che sentono l’insopprimibile bisogno di mettersi in gioco e in mostra, senza difese (che ciò avvenga su un palco o su una pagina stampata poco cambia), cerca principalmente questo: l’applauso degli altri. E quindi, per iniziare: complimenti, complimenti prima di tutto per la perseveranza, per non aver ceduto in situazioni che viste da fuori, vi assicuro, veniva assolutamente normale chiedersi “ma chi glielo fa fare?” (e non trovare risposta!), e poi per l’averci creduto, aggiornando il blog giorno per giorno, andando a parlare con la gente, spiegando, raccontando che cosa stavano guardando.
Poi, purtroppo, i complimenti non bastano. Servono a poco, se non si dice la verità. Per carità: le verità sono tante, ognuno ha la sua, ma avendo anche io, appunto, la mia, mi sento in dovere di tirarla fuori, nella speranza che possa aiutare a creare altre esperienze, magari migliori, sia per chi le vive che per chi le guarda, da fuori…
Un obiettivo s-centrato e un occasione mancata
Leggo nel progetto iniziale, che l’iniziativa era mossa dal “[…]desiderio di parlarne, di confrontarsi, suscitare una riflessione intorno ai temi dell’altro […]”… per tutta la settimana ho assistito al tentativo, encomiabile e continuo, di spiegare e di parlare di questi temi, che sono temi grandi e importanti. È il tema della povertà, e in un momento di crisi come questo è un tema fondamentale. Eppure non riesco a non chiedermi perché una persona che da dei soldi ad altre che fanno “finta” di essere povere (…nel senso che scelgono liberamente di esserlo), dovrebbe poi sentirsi più “solidale” con tutti quelli che poveri lo sono sul serio, e non per scelta.
Mi viene in mente un esperimento fatto alcuni anni fa da una nota trasmissione televisiva. Lo stesso attore, in due giorni differenti e truccato diversamente, si fermava davanti allo stesso bar di periferia facendo finta di avere la macchina senza benzina e non avere soldi in tasca, e chiedeva aiuto. La prima volta guidava una vecchia opel scassata, piena di scatole e buste di plastica, parlava con accento slavo e la ragione per cui era privo di soldi era chiara: era povero!
La seconda volta guidava una mercedes ultimo modello, era in giacca e cravatta e la ragione per cui era senza soldi era abbastanza fumosa (ho dimenticato il portafoglio sul comodino…).
La prima volta resto lì, fuori dal bar, fino a sera, chiedendo inutilmente aiuto, la seconda lo fecero accomodare, gli offrirono il caffè, qualcosa da bere mentre due volenterosi si avviavano con le taniche per fargli il pieno… a loro spese.
Ecco, mi è sembrato di aver visto mettere in pratica la seconda parte dell’esperimento, ma resto convinto che la prima continuerebbe a finire così come finì in quella trasmissione.
Quello che invece non avete forse colto, o comunque non avete ancora realmente messo a fuoco, è stata la possibilità che vi siete dati come attori di mettervi, anche se temporaneamente e, infondo, solo parzialmente, nei panni di un altro. Un altro che esiste e che, seppur invisibile, cammina ogni giorno nelle nostre strade. L’esercito degli sconfitti, l’altra faccia della civiltà del benessere. Se saprete fare tesoro di questa esperienza, se proverete a lavorare su questi temi, come attori e autori, alla luce del disagio e della sofferenza che avete vissuto, l’importanza di questa settimana andrà ben al di là dell’obbiettivo (s-centrato) che vi eravate posti.
Un gruppo non gruppo
Eravate in quattro, ma mai vi ho visto pensarvi come gruppo. L’idea di mettere in scena qualcosa che coinvolgesse tutti, alla pari, non si è mai fatta realmente strada. Non mi è mai sembrato che ci fossero né la disponibilità né l’interesse a farlo. Paola e Andrea recitavano, Aurora truccava i bambini, Francesca leggeva… eravate uno accanto all’altro, ma potevate essere in strade diverse, città diverse, mondi diversi… nulla sarebbe cambiato. Questo non era bello. Penso che non lo sia stato per chi vi ha partecipato (ma qui ognuno dica la sua…), di sicuro non lo era per chi vi guardava, come me, da fuori. Dava l’idea non di un’improvvisazione, ma di un’improvvisata… la prima attrae, la seconda allontana.
La strada ha le sue regole
… e voi non le conoscevate, ma ora sì, quindi la prossima volta non ci sono scuse. Se si va in strada si va per proporre qualcosa, non “una cosa”. Ho avuto modo di lavorare con voi, come attori, e ho potuto ammirare con quanta cura prepariate i vostri spettacoli: la strada merita la stessa attenzione, anzi, forse di più, perché se a teatro io come spettatore scelgo di venire (e me ne assumo la responsabilità…), in strada sei tu che mi scegli e mi inviti a fermarmi (e devi assumertene la responsabilità!).
È stato un processo, che alla fine ha portato anche alla costruzione di una performance godibile, ma che ha sofferto della assoluta mancanza di preparazione iniziale e, soprattutto, di una strumentazione adeguata.
L’integralismo uccide la fantasia
Ok l’immedesimarsi con l’altro, ok fare un esperienza diversa, ma non si può pensare di andare in scena e offrire qualcosa che trasmetta “energia” al pubblico se non ci si è nutriti a sufficienza, se non ci si è riposati, se non ci si è fatti una doccia, se si è camminato su e giù per il paese, zaini in spalla sotto al sole, per tutto il giorno tutti i giorni.
Solo gli attori di strada più esperti (e a volte neanche loro) sono in grado di vivere solo di quel che riescono a raccogliere in piazza. Questa è una realtà. Se questa esperienza vuole essere realmente appagante (per chi la vive e per chi la guarda) deve in qualche modo scendere a compromessi. Andare in pari tra quanto speso e quanto guadagnato deve essere, secondo me, un obiettivo, non un vincolo. JURY
dunque… leggendo il resoconto di Juri mi ci son ritrovata molto… anche perché in realtà abbiamo avuto modo di parlarne a lungo e abbastanza dettagliatamente.